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I biomarcatori plasmatici consentiranno la diagnosi precoce dei disturbi neurocognitivi legati all’ età?

Il deterioramento cognitivo in età avanzata può essere causato da una o più malattie neurodegenerative o da malattie cerebrovascolari, in varie combinazioni. I biomarcatori presenti nei fluidi e le tecnologie di neuroimaging stanno trasformando la diagnosi del deterioramento cognitivo; manca ancora il consenso sul loro uso appropriato nella pratica clinica. Per mettere ordine nella utilizzazione  dei biomarcatori nella   diagnosi del declino  cognitivo in età avanzata, una task force multidisciplinare europea, guidata da G. Frisoni, ha proposto un algoritmo per ottimizzare l’utilizzo dei biomarcatori in presenza di particolari presentazioni cliniche. L’algoritmo è un flusso di lavoro razionale per guidare i medici nella identificazione delle presentazioni cliniche più comuni del declino cognitivo fino alle cause più probabili; prevede 4 punti decisionali che richiedono anche un giudizio clinico esperto.

Il processo di valutazione inizia con la definizione di una diagnosi provvisoria di deterioramento cognitivo (onda 0) e anche la stima della gravità del deterioramento: è il primo punto decisionale. Il medico deve valutare se il paziente è in grado di condurre una vita indipendente e, in caso contrario, in che misura le sue attività della vita quotidiana sono compromesse. L’indagine sul deterioramento cognitivo e sul funzionamento quotidiano richiede quasi sempre l’uso di accertamenti time-consuming riguardanti lo stato mentale e anche interviste ad amici e parenti. Sono disponibili linee guida per la diagnosi di demenza, ma il mancato o ritardato riconoscimento del deterioramento cognitivo è comune nelle cure primarie. Se il deterioramento cognitivo è riconosciuto, ma di entità discutibile, i test neuropsicologici sarebbero utili perché le valutazioni cognitive spesso non sono in grado di distinguere gli individui non cognitivamente compromessi da quelli con deterioramento. Se il deterioramento cognitivo è stato confermato durante l’ondata 0, sono eseguite valutazioni di routine di solito  accessibili nell’ambito delle cure primarie (ondata 1), come gli accertamenti di laboratorio per malattie sistemiche, neuroimaging strutturale (MRI o TC) e più raramente, un EEG . Questi test facilitano l’identificazione di quei biomarcatori che potrebbero chiarire le cause del deterioramento cognitivo.

Per adeguarsi alle procedure normalmente utilizzate come pattern diagnostici nella pratica clinica, la task force propone  una designazione sindromica intermedia basata sulle valutazioni cliniche nella fase 0 e sui test neuropsicologici e sugli studi di laboratorio nella fase 1. Le competenze di un medico esperto sono necessarie a livello questa seconda decisione che richiede  molteplici fonti di informazione,  per proporre una sindrome clinica provvisoria con anche un’ipotesi causale provvisoria: questa  porterà alla scelta dei biomarcatori per ulteriori indagini.    Una volta proposte la  sindrome clinica provvisoria e l’ipotesi causale provvisoria, il processo diagnostico della task force raggiunge un terzo punto decisionale. Il medico deve decidere se sono necessarie maggiori informazioni per stabilire con maggiore certezza quale sia la causa sottostante o, in alternativa, se le caratteristiche clinicamente evidenti sono sufficientemente chiarite per guidare l’approccio terapeutico e gestionale.

Le ondate 2 e 3 dell’algoritmo proposto dalla task force utilizzano studi di imaging  o esami del liquido cerebrospinale che sono probabilmente disponibili solo agli specialisti del settore. Sulla base della totalità della presentazione clinica e dei dati dei biomarcatori raccolti nelle onde 1, 2 e 3, al quarto punto decisionale si giunge alla diagnosi causale. La task force si concentra sulle complessità dei biomarcatori delle ondate 2 e 3 perché, anche tra gli specialisti nella cura della demenza, la conoscenza sui vantaggi e sui limiti dei biomarcatori si è evoluta rapidamente. L’approccio integrato dei biomarcatori clinici alla diagnosi dei disturbi cognitivi in ​​età avanzata, in tutta la sua complessità, rappresenta un contributo importante, ma è solo all’inizio. Le conoscenze sulle capacità diagnostiche dei biomarcatori, in particolare di quelli plasmatici, stanno aumentando a un ritmo vertiginoso; alcune delle raccomandazioni della task force saranno presto sostituite da nuove informazioni. La preoccupazione di chi ha scritto l’ editoriale  non riguarda l’algoritmo e i suoi dettagli, ma piuttosto il numero modesto di medici con  le competenze necessarie per esprimere i giusti giudizi che precedono la determinazione dei biomarcatori da utilizzare . Anche se si spera che i medici di base abbiano sufficienti conoscenze per stabilire una diagnosi provvisoria di deterioramento cognitivo già nell’ondata 0, sembrano necessarie competenze specialistiche per i punti decisionali successivi (cioè, onde 1-3). Uno degli avvertimenti contenuti nelle raccomandazioni della task force è che la loro utilizzazione  richiede un elevato livello di competenza, che probabilmente si trova solo tra gli specialisti nella cura della demenza. Tuttavia, questo requisito non è facilmente raggiungibile perché in tutta Europa, o negli Stati Uniti o in Canada, ci sono pochi medici con la formazione necessaria nella cura della demenza. Negli Stati Uniti, le richieste di trattamento dovute alla recente disponibilità di Lecanemab peseranno sullo scarso accesso alle cure diagnostiche consultive per la demenza. Intanto l’acume clinico continuerà ad essere estremamente rilevante per diagnosticare e gestire i pazienti con problemi cognitivi.

 

Lancet Neurology  2024; 23: 312

 

Si veda anche:  https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa2310168?query=featured_home .

 

Si consiglia la visione di : https://www.rainews.it/rubriche/tg2medicina33/video/2024/02/Tg2-Medicina-33-del-15022024-f6cb8e77-839d-4881-b37d-8ec693934f05.html

 

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