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LONGEVITA’, OLTRE LA SALUTE (da Corriere di Bologna, Ottobre 2018)

La prestigiosa rivista medica The Lancet ha pubblicato recentemente un interessante studio sulla salute globale. Le previsioni sull’evoluzione del prolungamento della vita dal 2016 al 2040 modificano l’attuale classifica dei primi dieci Paesi più longevi. Nel 2016 il Giappone era al primo posto, con l’età media della vita a 83,7 anni; la Spagna al quarto (82,9 anni) e l’Italia al settimo (82,3). Nel 2040, viene previsto che la Spagna sarà il Paese con la maggiore speranza di vita, attestandosi su circa 86 anni, mentre l’Italia passerà dal settimo al sesto posto con più di 84 anni. A seguire questa classifica dello studio dell’Institute for Health Metrics and Evaluation (HIME) de Washington su 194 Paesi, dovremmo dire che possiamo stare più o meno tranquilli. Gli anni di vita non saranno decurtati, anche se sono altri i Paesi che avanzano e ci superano. Il Portogallo situato al ventitreesimo posto ci passerà davanti nel 2040, classificandosi quinto (84,5 anni). Questi dati pur lusinghieri ci dicono che la marcia dell’Italia nel miglioramento nella speranza di vita è a minore incremento rispetto agli altri paesi del Sud Europa. E forse annuncia una tendenza alla stabilizzazione, se non alla rinuncia al miglioramento (tagli alla spesa sanitaria) della durata e della qualità di vita. Il nostro Paese, purtroppo, sembra orientarsi più verso un precario funzionamento che all’innovazione dell’attuale modello.

In particolare andrebbe considerato che il fenomeno della longevità dipende da molti fattori e ognuno su un piano multidimensionale. I fattori economici e sociali vanno acquisendo una crescente rilevanza, in quanto sono i determinanti più incisivi nel permettere un sano e armonico sviluppo nel tempo della persona. La formazione continua, l’inclusione sociale, la cittadinanza attiva, gli stili sani di vita sono dei potenti generatori di longevità e benessere. Su questi e altri determinanti economico-sociali la Spagna e il Portogallo sono fortemente impegnati sapendo che fanno la differenza, come ha registrato lo studio HIME. La Regione Emilia-Romagna e la Città metropolitana di Bologna, pur conservando il primato italiano della popolazione longeva e in salute, dovrebbe tendere allo sviluppo dei determinanti sociali con più incisività. Senza un programma multi settoriale nel governo locale, non si può continuare a competere a livello globale. Le buone politiche di settore non sono più efficaci. Occorre governare il passaggio alle «politiche integrate della salute», intendendo la promozione e la prevenzione come elementi trasversali che devono essere parte di tutte le politiche miranti all’incremento del benessere comune.

 

Intervengo volentieri sul tema «cosa facciamo per gli anziani», aperto dal fondo di Enrico Franco e ripreso da Elisabetta Gualmini. Modificherei leggermente il titolo da «cosa facciamo» a «cosa fare», perché credo che il nodo della questione anziani sia questo. Non c’è dubbio che l’Emilia-Romagna disponga di un sistema di servizi socio-sanitari per anziani, importante e articolato, tra i più avanzati ed estesi del Paese in grado di offrire una filiera di servizi strutturata, dall’assistenza domiciliare ai centri diurni alle residenze assistite. In più è disponibile una serie di sostegni finanziari che danno una mano a chi si misura con il problema della non autosufficienza. Il tutto è reso possibile dalla costituzione di uno specifico fondo, frutto di un accordo sindacale del 2004, che stanzia ogni anno più di 450 milioni per questo tipo di assistenza. Gualmini mette giustamente in evidenza ulteriori sviluppi del sistema, dal finanziamento per la installazione di ascensori negli edifici che ne sono privi (tantissimi) all’investimento in esperienze di cohousing. C’è un punto sul quale il confronto e l’approfondimento devono misurarsi: il volto che presenterà il nostro Paese e la nostra Regione da qui ai prossimi anni. Le previsioni demografiche sono molto chiare e precise: avremo una forte espansione di anziani, con particolare concentrazione nelle fasce di età più evolute, degli over 80, tra le quali è ovviamente significativo il rischio di non autosufficienza. Il picco di invecchiamento dovrebbe toccare l’apice tra il 2045 e il 2060, quando l’incidenza della popolazione over 65 passerà dall’attuale 22% al 34% e quella degli over 84, raddoppierà dal 3,3% al 6,2%, per arrivare a sfiorare il 10% a fine periodo. L’Emilia attualmente vede una percentuale di popolazione anziana pari al 23,6%, più alta di quella nazionale. Il trend di crescita prevede un dato del 25,6% nel 2026, del 33,8% nel 2046. Con questo occorre misurarsi: non credo sia una scelta lungimirante quella di pensare che «tanto toccherà ad altri». È evidente che c’è un compito che spetta a tutti noi ed è quello di provare a prepararsi a vivere la condizione anziana: stili di vita, relazioni sociali, possibili interessi, reti familiari, adattamento domestico… tutti fattori che peseranno sul modo in cui si potranno vivere gli anni della vecchiaia. Ma non c’è dubbio che spetta anche a chi definisce e governa il sistema dei servizi prepararsi per tempo e ragionare su come far fronte a una situazione che può avere un impatto sociale pesante. Probabilmente, sarebbe importante cominciare da subito a mettere in atto iniziative di sostegno alla fragilità che allontanino nel tempo il passaggio alla non autosufficienza. E poi capire come sarà possibile continuare a investire sulla domiciliarità (come dice giustamente Gualmini) in una situazione che vede crescere il numero delle famiglie mono/biparentali, dove non ci sono figli e che dovrà fare i conti con intere generazioni di pensionati poveri, il vero problema indotto dalla riforma Fornero, molto più che quota 100. C’è una parola chiave necessaria per affrontare il problema: consapevolezza. Bisogna che la politica, le istituzioni, la comunità acquisisca la consapevolezza piena dello scenario che ci aspetta e vinca quella certa riottosità ad affrontarlo da subito. Se è vero che la buona politica «pensa non al domani, ma al dopodomani», questo è un terreno del quale occuparsi oggi.

 

 

 

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